Le donne di Modena, cantava Francesco Baccini, hanno le ossa grandi. La Seles di Modena, Adriana Serra Zanetti, non corrisponde al profilo. La chiamano così proprio per il fisico minuto, perché come anche lei gioca entrambi i fondamentali a due mani, è “bimane doppia” come scrive Gianni Clerici, e soprattutto perché ha la personalità e la grinta di chi sa che la grandezza non è questione di centimetri. In famiglia tutti hanno giocato a tennis, a vari livelli. E tutti hanno nomi che iniziano per A. Coerente, Adriana ha scritto la storia sua e del tennis italiano in Australia. È il 2002, e per la prima volta un’italiana raggiunge i quarti agli Australian Open.
“Per me quel risultato, i quarti in uno Slam, non si può paragonare a nient’altro nella mia carriera. Certo, anche aver giocato i quarti a Roma, in casa, nel 1994, hanno un posto importante, ma uno Slam è un’altra cosa” spiega. Dopo l’exploit del Foro, nel 1995 arriva agli ottavi al Roland Garros, entra in top-10, ma rinuncia a Wimbledon per prendere la maturità al liceo linguistico. Questione di priorità. Seguono problemi alla spalla, infortuni, cambi di allenatore e una classifica che a inizio millennio tocca il numero 252.
Nel 2001 non ha nemmeno la classifica per entrare nelle qualificazioni agli Australian Open. Ma i risultati migliorano e agli Us Open vive uno di quei momenti “sliding doors” che segnano le carriere. Perde al primo turno da Jelena Dokic, che arriverà poi in semifinale. “Quella è una partita che vorrei rigiocare -ammette-. Ho avuto una palla break sul 3 pari al terzo, lei tira una palla decisamente fuori, ma l’arbitro la dà buona. Sarei andata 4-3 e servizio sopra, e poi chissà. Peccato che allora non c’era l’Occhio di Falco, è davvero una gran cosa la tranquillità che la tecnologia può dare oggi ai giocatori”.
Il destino però ha in serbo grandi destinazioni per la piccola Adriana. Solo che quello non è il momento né il luogo prescelto per l’impresa. L’anno successivo arriva al primo Slam della stagione da numero 83 del mondo, sulla scia della finale giocata in doppio a Canberra una settimana prima, e la soddisfazione di vedere la sorella Antonella superare le qualificazioni. “Insieme a mia sorella siamo state in famiglia, l’organizzazione ci ha aiutato a trovare questa sistemazione. Era bellissimo. Stavamo in una super-villa a Melbourne, immersa nel verde, con un piano tutto per noi, e potevamo anche farci da mangiare. Poi siamo state fortunate anche con la schedule, perché io e Antonella abbiamo sempre giocato a giorni alterni: siamo state veramente bene”.
L’esordio però non è esattamente morbido. Di fronte c’è la spagnola Virginia Ruano Pascual, che l’anno prima, a Palermo, le ha lasciato appena due game. Adriana vince il primo set 6-2, ma perde il secondo con lo stesso punteggio. “Sono andata sotto 5-2 al terzo, ma sono riuscita a recuperare”: vince cinque game di fila e chiude 62 26 75. “Da quel momento ogni partita è andata sempre meglio”.
Al secondo turno elimina 63 76 Amy Frazier, che le aveva dato 62 60 al primo turno al Roland Garros meno di un anno prima. Arriva poi il momento del derby con Silvia Farina. “Ero lì senza il mio coach, Remondegui, e Silvia mi ha aiutato molto in quel torneo, ci siamo allenate spesso insieme con lei e con Galoppini, che seguiva Roberta Vinci”. Molti dei tremila soci del circolo Meridiana di Modena, dove ha giocato praticamente tutta la famiglia, sono svegli, tra le due e le tre di notte, davanti alla tv. Per l’Italia è una notte diversa dalle altre. In contemporanea, infatti, Francesca Schiavone sta inseguendo il sogno di battere Monica Seles. Purtroppo, la Monica “originale” vincerà. E vincerà la “Monica di Modena”, 62 46 64. “Sembrava di essere in Italia quel giorno, c’erano tantissimi tifosi e poi c’era Laura Ceccarelli come arbitro -racconta-. È stata una partita molto corretta, tra noi due non c’è mai stato nessun tipo di problema. Silvia era certamente la più forte e aveva di più da perdere. E quando è andata avanti 4-1 nel terzo, ha avuto un piccolo calo e ho saputo approfittarne, ho sfruttato l’occasione”.
Agli ottavi, deve affrontare Martina Sucha, che ha da poco vinto il titolo a Hobart, una “slovacca di buonissime letture, se è vero che ha scritto un saggio su William Saroyan, e ne sta preparando un secondo su Erich Maria Remarque” sottolinea Gianni Clerici. Adriana sfrutta al meglio il suo tennis apollineo, fatto di anticipo e di intelligenza, e riscatta la sconfitta in semifinale a Bratislava del 2001. Adriana vince facile il primo set, 61. Nel secondo Sucha serve meglio, cerca traiettorie più alte per mandare fuori dal campo l’azzurra, che ha meno allungo per la presa bimane. Ma Adriana ha vinto di strategia, ha giocato al centro per dare a Sucha meno angoli, ha tenuto alte le percentuali al servizio, non ha concesso nemmeno una palla break nel secondo set, e disegnato lungolinea velenosi, come l’ultimo che la permesso di trasformare il terzo match point: 61 75. “Adriana sa sempre quello che sta facendo” ha commentato Sucha dopo la partita. “Si sente che dall’altra parte della rete c’ è una mente, e non un robot, come sono tante delle ragazze di oggi. E allora, per non lasciarla pensare, bisogna cercare di metterle fretta, ma la fretta è contagiosa, e si finisce per sbagliare”.
Ai quarti ci sono sette delle prime otto teste di serie, e Adriana Serra Zanetti, che non ha tremato di fronte a Martina Hingis sotto il tetto chiuso della Rod Laver Arena. “C’era tanta gente, un’atmosfera bellissima sul Centrale. Non sono uscita facile, gliel’ho fatta proprio sudare. Ricordo che Martina a un certo punto ha anche rotto una racchetta. Per me è stato un successo”. Si è innervosita presto, la svizzera: si è trovata 0-40 nel secondo game, Adriana ha cancellato le tre palle break e tenuto il servizio dopo una maratona di 24 punti, Martina ha sbagliato i primi due colpi del terzo gioco ma l’arbitro le ha risparmiato il warning. Hingis però infila sei punti consecutivi, allunga prima 41, poi 62 20. Adriana recupera il break grazie a due doppi falli di Hingis, che però si riporta 41 anche nel secondo parziale. L’azzurra può solo annullare un match point e rimandare la sconfitta. Finisce 62 63, ma Adriana si prende comunque la soddisfazione di stampare 21 vincenti e chiude con solo sei errori in più della svizzera. Si prende anche le lodi di Billie Jean King convinta che Adriana, con quel gonnellino plissé e il maglioncino senza maniche che fa tanto anni ’50, avrebbe potuto spingersi ancora oltre con un po’ più di esperienza ad alto livello.
“Sono stati dieci giorni di fuoco” conclude Adriana, che non è mai più arrivata così avanti in uno Slam e ora cerca di trasferire la sua grinta a un gruppo di ragazzi under 18 al Tennis Modena, “dieci giorni di grandi ricordi. I più belli comunque sono quelli che ho vissuto dentro il campo. Da quel momento, ogni volta che guardo gli Australian Open è sempre una grande emozione, è come essere lì di nuovo”.
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