di Luca Brancher
Chi di voi non ha presente il film “Mamma, ho perso l’aereo”, la storia di un giovanissimo Macaulay Culkin dimenticato a casa da una famiglia alquanto numerosa, recatasi a Parigi per una vacanza sotto Natale? Ecco, per introdurre il personaggio di questo articolo, che all’anagrafe risponde al nome di William Raymond Spencer III, vorrei mutuarlo in “Mamma, ho preso l’aereo”, espediente utile a narrare un episodio della sua vita che, collocato nella giusta prospettiva, fa capire quale sarebbe potuta essere la vita di questo ragazzo, comunemente chiamato Wil (con una L sola).
Wil, non ancora sedicenne, aveva a tal punto ben impressionato ai celeberrimi campionati statunitensi under 18 di Kalamazoo, da ottenere una wild card per il tabellone junior dello U.S. Open, anno 2005; Spencer si sarebbe arreso al secondo turno a Marin Cilic, ma le sue credenziali a livello nazionale erano proporzionalmente cresciute nel frattempo tanto che, poche settimane dopo, venne cooptato per sostituire Donald Young, infortunato, per difendere la bandiera a stelle e strisce nella Junior Davis Cup. Il problema, perché di questo si tratta, constava nel fatto che, al momento della chiamata, i genitori avevano lasciato Wil all’aeroporto – nel nord della Florida, dove lui è nato e cresciuto – per raggiungere i nonni che vivevano a San Diego, dove avrebbe svolto alcune sessioni d’allenamento. Ricevuta la convocazione, i genitori avvisarono il nonno, che si presentò al San Diego International Airport e, dopo averlo salutato, gli mise sotto il braccio un borsone con qualche ricambio, affermando. “Devi raggiungere i tuoi compagni a Barcellona, sei nel team di Davis”. Da lì avrebbe fato scalo a Las Vegas, Miami (vicino alla sua abitazione), poi Parigi ed infine nella Catalogna. “Una giornata da incubo, sono arrivato distrutto, e poi dovevo giocare sulla terra battuta, mentre io mi ero allenato solo sul cemento.” Ciò non gli negò la possibilità di venire nominato, a fine torneo, miglior tennista del Team U.S.A. Ora, però, è doveroso fare un passo indietro: chi è Wil Spencer, perché ne parliamo adesso, come mai non è arrivato a rappresentare gli Stati Uniti nella Davis vera e da dove arriva?
Il giovane Spencer nasce a Santa Rosa Beach, Florida, l’8 Settembre del 1989, e vive un’infanzia intrisa di sport; prova di tutto e riesce bene in ogni ambito in cui si cimenta. Nel baseball è un ottimo lanciatore ed interbase, ma non se la cava male nemmeno come battitore, a tal punto da essere in grado di “girare la mazza” sia da destra che da sinistra; nel basket è una guardia tiratrice prolifica, vantando un record di 32 punti in un tempo, mentre nel football americano è un tailback molto rapido – con un primato di 5 touch-down in una singola ripresa – che permette alla propria squadra di vincere il locale Super Bowl, una sorta di impresa per le formazioni provenienti da quella fetta d’America. Tutto questo, però, fino ai 10 anni, quando Wil incontra, quasi casualmente, il tennis, ed è amore a prima vista: “Era più difficile e stimolante per me. Ho subito notato come fosse uno sport dove non avrei dovuto fare tutto per inerzia, ma era necessario anche pensare, un’attività più mentale che fisica. E poi è individuale, quindi sono l’unico artefice del mio destino: se perdo posso solo avercela con me stesso.”
Lo scenario sullo fondo di queste imprese sportive è Ponce de Leon, che prende il nome dello stesso condottiero ispanico che, all’inizio del sedicesimo secolo, nel tentativo di scoprire le celeberrima Fontana della Giovinezza – partendo da Porto Rico, di cui era stato proclamato governatore – arrivò in Florida, che lui stesso così battezzò per il fatto di averla scovata nel periodo pasquale, la Pascua Florida ispanica. Per la leggenda, inoltre, la Fontana della Giovinezza viene collocata proprio nel paesino dove Wil è cresciuto “Mai vista, però stranamente ci sono veramente tante persone anziane..”. Il periodo florido, facile gioco di parole, di Spencer non esita a terminare ed il suo approccio nel mondo della racchetta è esaltato dai primi coach che lo affiancano, come Brett Beattie, che ne evidenzia sia le qualità di atleta – “corre come un matto, riesce a generare una velocità da quelle gambe che impressiona” – che di tennista – “esprime molta potenza, soprattutto in risposta, ha una spiccata rapidità d’esecuzione”. I suoi progressi sono evidenti, i risultati corroborano tale affermazione, ed è in anticipo rispetto ad ogni classe d’età, pur crescendo nell’ombra di Donald Young, per quanto sia implicito che il suo clan abbia intenzione di portarlo su quei livelli. E la U.S.T.A, che già fallì in questo ambito con Donald, non lesinò errori nemmeno con Spencer, dal momento che, dopo quella prestazione positiva in Spagna, decise che, in barba ai 16 anni, Will dovesse passare professionista “Giocai alcuni tornei, ma non mi sentivo pronto, anzi, non lo ero affatto, ed i risultati sono stati una logica conseguenza.”
Quello che è certo è che Wil non è cresciuto come un giocatore qualsiasi, il suo status di stellina emergente gli permette di arrivare a persone che difficilmente un teenager può incontrare. “Mi è capitato di sfidare John McEnroe, in un evento collaterale alla Junior Davis Cup. Abbiamo fatto qualche punto, penso di averne vinto qualcuno più di lui – tipo 15-12 – e la situazione non nascondeva lo infastidisse molto”. Oppure il quarterback Danny Wuerffel “Mi volle sfidare ed accettai. Decise di tenermi in campo fintanto non fosse riuscito a togliermi un set: giocava benino, ma saremmo stati in campo all’infinito se avesse dovuto tenere fede alla sua promessa. Ogni tanto, pur di stancarmi, tirava delle palline volutamente fuori per vedere se riuscivo a raggiungerle…”. Infine ha la possibilità, insieme ad altri quattro giovani promesse statunitensi, di passare del tempo a casa di Andy Roddick, ad Austin, Texas, per allenarsi nella sua Academy. Questo periodo, durato non più di qualche settimana, precede i suoi primi malanni fisici, per curare i quali si sposta a New Braunfels, al John Newcombe Ranch. La sua continua frequentazione del Lone Star State non può che comportare il suo approdo, nel 2007, alla Texas A&M University di College Station, dove Wil trascorre i suoi primi due anni, prima di traferirsi, nel 2010, alla University of Georgia, per ingrossare e rendere più qualitativamente forte il team dei Bulldogs. Concluso, in maniera brillante, il periodo universitario, giunti quindi nell’estate del 2012, ci si attenderebbe un suo ritorno sul circuito, che però non si avvera: l’ormai 23enne promessa non ha intenzione per il momento di cimentarsi col tennis pro’. Il tutto sgomenta un po’, Spencer, invece di ricominciare quella corsa verso l’Olimpo del Tennis, come fatto da altri studenti dell’ateneo della Georgia, non ultimo John Isner, preferisce trovarsi un impiego.
La decisione è figlia del momento in cui si è concretizzato il passaggio dal Texas alla Georgia: dopo aver preso un piccolo break dagli studi, che gli è costato l’anno accademico 2009-2010, Wil si è cimentato con l’insegnamento alla Emerald Coast di Niceville, non lontano da quella Ponce de Leon in cui era cresciuto. Una volta laureatosi, Wil non ha esistato a perseguire quella strada, ed è stata la Olde Forest Raquet Club di Elon, in North Carolina, ad accoglierlo nel suo corpo insegnanti “Tutti i bambini lo amano, e lui ama stare con loro”. “Non ho ancora posto la parola fine ad una mia eventuale carriera da professionista, però ora come ora non sarei pronto, devo tornare ad allenarmi. Vedremo”. Sosteneva Wil non più tardi del luglio scorso, ed ora che sono passati quattro mesi, la situazione deve essere mutata in maniera radicale, se il ragazzo si è presentato nella già citata Niceville per disputare un mini-torneo, vinto il quale ha ricevuto una wild card per il trentunesimo future statunitense dell’anno, svoltosi la scorsa settimana. Se fosse solo un tentativo, e se da questo avesse dovuto trarre delle indicazioni su un suo eventuale e definitivo ritorno, avrebbe del materiale a supporto di questa sua intenzione, dal momento che, posto un gruppo di partecipanti non eccessivamente competitivo, o non al livello di altre manifestazioni analoghe, il torneo lo ha poi vinto.
Da quanto si evince dalle cronache locali, il punto di svolta del suo intero torneo si deve collocare addirittura al primo turno, il suo ritorno sulla scena, assistito da un centinaio di persone incuriosite dal fatto che il figliol prodigo avesse deciso un clamoroso comeback. Il sorteggio, non benevolo, lo opponeva a Peter Heller, seconda testa di serie, ma favorito d’obbligo della manifestazione, visto e considerato che Connor Smith, che guidava il seeding, era già stato eliminato. La partita è tirata, equilibrata, a metà del terzo set siamo già oltre le tre ore, quando Heller sembra prendere il break decisivo, salendo 4-2, ma Spencer, sospinto dal pubblico, decide che non è ora di alzare bandiera bianca, riagguantando il pareggio sul 4-4. Proprio nel nono gioco c’è un punto che funge da spartiacque dell’intera contesa: il teutonico ha una palla break che assomiglia molto ad un match-point, perché Wil non sembra averne più, ed un nuovo allungo sarebbe da considerarsi decisivo. Dopo 22 colpi, Heller, spintosi a rete, gioca una stop volley di rovescio ad uscire che sembra essere vincente, Will corre verso la palla, capisce che non ha il tempo per arrivarci, decide quindi di tuffarsi e di toccarla col polso. Ne esce un passante malefico, ma vincente, Peter torna a fondo campo contrariato, convinto di potersi andare a sedere, mentre Wil fatica a rialzarsi in piedi “Mi avessero dato una coperta ed un cuscino, mi sarei anche addormentato.” Dieci minuti più tardi, un dritto largo dell’europeo sancisce il passaggio del turno di Spencer, che avrebbe così cominciato la sua cavalcata verso il titolo finale, dove nemmeno una striscia di sette giochi consecutivi del suo avversario, l’ungherese Peter Nagy, gli avrebbe impedito di aggiudicarsi la contesa per 6-4 2-6 6-4, al quarto match-point, dopo aver tremato non poco nei momenti finali, quando dal 5-2 del terzo parziale le occasioni sono fioccate.
Heller, Helliar, Opelka, Aubone e Nagy. Dobbiamo essere onesti, non si tratta del parterre de roi che ci aspetteremo venga sacrificato sull’altare di una futura stella del tennis, ed anche l’età non aiuta nel riporre troppe speranze in un ragazzo che, crescendo, ha capito di poter essere utile in un altro ambito. Le storie in salsa americana, però, lasciano sempre un retrogusto di speranza, di cui non vogliamo privarci a priori: seguiamolo, con interesse, perché quel “I’m back” pronunciato al termine dell’incontro vinto al primo turno, così come il “This is my future” enunciato durante la premiazione finale, potrebbero essere espressioni che valgono molto più di qualsiasi altro articolato annuncio, senza dover fare ricorso alla Fonte della Giovinezza. Wil ha ripreso l’aereo, quello che potrebbe ricondurlo al professionismo: dipende solo da lui, ed è anche questo il motivo per cui ha scelto questo sport, no?
Fonti:www.maxpreps.com
www.nwfdailynews.com
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