di Luca Brancher
Marzo del 2012, Miami, Stati Uniti. Su un campo secondario del Tennis Center di Crandon Park, Key Biscayne, Fernando Gonzalez, che proprio in quei giorni, dopo una lacrimosa sconfitta contro Nico Mahut, avrebbe posto fine alla sua carriera, sta disputando un incontro contro un giovanotto che sfiora i due metri di altezza, nonostante i 16 anni compiuti da pochi mesi. Col ragazzo in questione El Bombardero de la Reina si conosce da diverso tempo, nonostante il divario quasi generazionale esistente tra di loro e, in maniera del tutto naturale, stanno disputando un incontro che, nato come una divertita scommessa, potrebbe aver dato il la alla carriera di un futuro protagonista dello sport con la racchetta. Infatti, il gigante bambino che, più o meno invano, cercava di ostacolare le trame intessute da Gonzalez era Nicolas Jarry, uno tennisti maggiormente cresciuti e rivelatisi nel corso della stagione in atto.
Per spiegare bene la storia di Nicolas Jarry, dalla sua nascita fino ai giorni nostri, è utile citare il nome completo del ragazzo, che di secondo cognome fa Fillol, nipote di Jaime, ex-tennista che ha raggiunto, nel corso della sua carriera, la quattordicesima posizione della graduatoria mondiale, oltre ad essere stato plurititolato rappresentante della locale squadra di Davis Cup, di cui ha difeso la maglietta in ben 73 occasioni. E se tuo nonno ha un retaggio di tale entità, difficile, anzi impossibile che passi troppo tempo da quando cominci a mettere un piede davanti all’altro al giorno in cui qualcuno ti consegna in mano una racchettina con cui provare a dare schiaffi ad una palla gialla. C’era un problema, che non poteva essere ovviato dal fatto che il nonno organizzasse, nel frattempo, gli appuntamenti ATP che si disputavano sul suolo nazionale (Santiago e Vina del Mar), e che questo ti desse la possibilità di entrare in contatto con un sacco di giocatori professionisti – “Fernando Gonzalez lo conosco da quando ho 5 anni”: i primi risultati giovanili di Jarry sono davvero disastrosi, tanto che inizialmente il tennis occupava lo spazio che si può dedicare ad un’attività vista come un passatempo: due ore a settimana, qualche volta tre, ma le ambizioni sono ben altre. Nei tornei di categoria faticava a superare le qualificazioni, e quella volta che capitò “presi un doppio 6-0 da vergogna.” Nel frattempo Nicolas frequentava, con buon profitto, il Collegio “Monte Tabor y Nazaret” di Santiago, e giocava nel ruolo di attaccante nella squadra locale di calcio.
Fino a quando il padre, per motivi di lavoro, costrinse la famiglia a trasferirsi a Key Biscayne, Miami, Florida. Nicolas aveva solo 14 anni, e la possibilità di frequentare l’istituito di La Salle portava con sé vari vantaggi, tra cui quello di potersi allenare, di mattina e di sera, all’Accademia di Willy Canas. In questo modo, il giovane Jarry cominciava a vedere il tennis sotto un’altra prospettiva ed iniziava ad ottenere risultati ben differenti: è di lì a poco che un nostro tecnico, Marco Martizi, che già avete avuto modo di leggere sulle colonne di Spazio Tennis, lo nota e non ci mette molto a farsi un’idea precisa
“Ero a un torneo qui dalle mie parti e su un campo lontano vedo un ragazzo piuttosto alto che si muove come un gatto. Tecnicamente faceva tutto: servizio piatto slice e kick perfetto, serve and volley, volee perfetta, teneva da fondo e poi accelerava, remava, slice di rovescio perfetto, mai una parola: sempre zitto e concentrato. Sono andato a parlargli dopo il match, volevo prenderlo con me ma si allenava da Canas, volevo darlo a Fila, ma aveva Nike…”
Non appena le sirene dell’interesse generale cominciarono a suonare attorno a Jarry, la federazione statunitense, sapendo come la madre di Nico, la figlia di Jaime Fillol, fosse, pur essendo cilena, nata sul suolo statunitense, si fece avanti e, in cooperazione con la Nike, che nel mentre gli fece firmare il primo contratto di sponsorizzazione, gli propose il passaggio di nazionalità. Nicolas, grato alla causa yankee per il fatto di essere cresciuto in maniera decisa nello stesso momento in cui ha cominciato a praticare lì, inizialmente accettò, ma dopo un paio di tornei, una volta tornato a stare in Cile, decise di riabbracciare la causa della madre patria, proprio dopo averne parlato con Fena “Ora non te ne rendi conto, ma quando diventerai un giocatore forte, un campione, per te sarà molto più fonte di gioia l’essere il beniamino di questa gente, vedrai.” Capitolo chiuso, sarà Cile per la vita.
Tornando a Miami, Key Biscayne e a quell’incontro “scommessa” giocato due anni e mezzo orsono: alla fine a spuntarla, come immaginabile, fu il più anziano tra i due, che però concesse ben quattro giochi al baldo sedicenne, per cui a pagare dovette essere lo stesso Fernando, che aveva annunciato che si sarebbe fatto una ripetuta di dieci flessioni per ogni gioco perso. Oltre al dazio da pagare, ciò che più premeva Gonzalez era che Jarry capisse come, dietro a quei quattro giochi vinti, ci fosse il viatico giusto per poter divenire un grande del tennis cileno. A bordo campo, nel mentre, Martin Rodriguez, zio acquisito e coach di Jarry, stava conversando con Bob Brett, sorpreso quest’ultimo dal gioco mostrato dal giovanissimo opponente dell’ormai ritirato tennista sudamericano. Bob convinse Martin come non ci fosse tempo da perdere: Nicolas negli Stati Uniti, presso Canas, aveva mostrato progressi, ma era ormai giunta l’ora in cui gli venisse affiancato un team che gli permettesse di crescere ulteriormente. Martin parlò con la famiglia e decise che lui, e il piccolo di casa Jarry, sarebbero rientrati in Cile: da quel giorno non sarebbero più stati zio e nipote, ma coach e giocatore. Ed è da qui che ha inizio la vita del Nicolas Jarry che conosciamo oggi.
Un giocatore completo, come già emerso dal giudizio di Martizi, che in patria inizialmente tendevano ad accostare a Tomas Berdych, ovvero molto solido da fondo, ma con una forte predisposizione per la ricerca costante del punto, ma, dopo averlo visto esordire in Davis Cup, in Reppublica Dominicana, scendendo in campo in doppio, si sono immediatamente ricreduti sulle sue abilità a rete, dove è in grado di estrarre dal cappello prodezze proprie solo di chi è dotato di un talento manuale sopraffino. A livello di risultati, il primo traguardo colto da Jarry giunse proprio nella disciplina di coppia, all’Orange Bowl del 2012, assieme a quel Christian Garin che, differentemente da lui, e nonostante l’anno di meno mostrato all’atto di nascita, ha sempre avuto puntati addosso i riflettori, sotto forma di finanziamenti federali “I primi due giocatori della nazione sono stati aiutati a livello economico, gli veniva rimborsato tutto, dai viaggi agli allenatori” – Nicolas, invece, sta ricevendo un contributo solo da pochi mesi, da quando, assieme a Camila Silva, ha vinto la medaglia d’argento in doppio misto ai Campionati Sudamericani organizzati da Odesur. Dopo un 2013 in cui altri importanti passi in avanti si sono compiuti a livello di gioco, è il 2014 l’anno che vede l’esplosione definitiva del cileno in ambito internazionale.
Attestato, allo scoccare della stagione, come 830esimo tennista del mondo, dopo la finale nel primo appuntamento stagionale, un future argentino, ha cominciato a mietere successi, che lo hanno spinto ad aggiudicarsi due titoli ITF, oltre ad altre tre finali e quattro semifinali. In quest’ultimo periodo, complice il proliferare di manifestazioni challenger in terra sudamericana, Jarry non ha patito affatto l’aumentare del livello della competizione, centrando una finale a Quito, dove ha lasciato strada a Horacio Zeballos, che, due settimana dopo, a Calì, è risultato essere il primo giocatore classificato tra i top-100 finito sotto le grinfie della piccola belva di Santiago. Sempre più lanciato verso i grandi traguardi.
“La chiave è lavorare duro, concentrarsi, non lasciare nulla d’intentato. Alla mia età ho tanto da imparare e non devo lasciarmi distrarre. Ora è il tempo del sacrificio, poi, se tutto va come deve andare, dopo i 30 anni sarò libero di fare quello che voglio.” In verità quello che è trapelato negli ultimi mesi è che Jarry è già pronto a fare quello che vuole. In campo e contro avversari d’altissimo rango.
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