di Luca Brancher
Nicolas Santos e Tiago Fernandes sono due tra gli junior brasiliani più promettenti dell’ultimo decennio. Nonostante le loro storie siano completamente agli antipodi, c’è qualcosa che li accomuna più di quanto non sembri.
Il tennis, ai tempi di internet, ci regala varie possibilità. Puoi raggiungere località che faresti fatica a localizzare su una cartina geografica – o, per essere al passo coi tempi, su google maps ed affini – e potresti giocarti i classici cinque minuti, che rischiano di divenire ore intere, a seguire match tra tennisti che ad una prima vista non ti dicono molto. Non appena, però, ne catturi le storie, entri in un mondo da cui non vorresti uscirne più: ci sono, tra gli altri, le promesse mancate, i giocatori locali che vogliono stupire e quelli che vengono letteralmente mandati allo sbaraglio.
Nicolas Santos è il prototipo dei tennisti che non ce l’hanno fatta. Non per cattiva volontà, semplicemente, una volta ultimato il passaggio tutt’altro che agevole dagli juniores ai pro’, non è riuscito a rivelarsi dominante così come aveva fatto fino a prima dei 18 anni. Non un dramma, è più rilevante l’incidenza dei tennisti che non adeguano i clamori e le sensazioni giovanili una volta completata la maturazione che il caso contrario, eppure non basta rifugiarsi nei numeri per trovare consolazione. Nicolas, però, non si è arreso, ed ha continuato a lottare, per cercare uno spiraglio di gloria, sfiorato soltanto in due occasioni, ovvero quando si è aggiudicato due titoli futures, entrambi sul suolo natio. Considerando che il suo esordio nel circuito maggiore è avvenuto, all’incirca, dieci anni fa, e che il prossimo 5 gennaio le primavere diventeranno 27, valutare che le settimane vissute all’interno della TOP-500 della graduatoria mondiale redatta dall’ATP sono state poco più di 30 è sentore che, ormai, quello che è stato è stato. E l’essere restìo a misurarsi nel mondo dei challenger appare come un’avvisaglia del fatto che le velleità del verde-oro siano ormai viste come un mero esercizio di stile dello scorso decennio.
Campinas, per un paulista come Nicolas, equivale però ad una ghiotta occasione. Dopo il magro bottino conseguito nei tornei ITF in Perù, tentare la fortuna nelle qualificazioni di una manifestazione secondaria dell’ATP – quest’anno solo intraviste ad aprile, ad Itajai – era una naturale conseguenza: dal momento che i risultati non arrivavano, chissà che l’aria di casa non potesse correre in aiuto. Dall’altro lato c’era da sconfiggere una maledizione, il numero 0 che compariva nella casella delle qualificazioni ottenute in questo genere di competizioni. Ne aveva giocati, di challenger, in passato, ma soltanto grazie a wild card – l’ultima nel 2013, a Rio Quente – mentre mai era uscito integro dall’inferno delle qualies. Questa volta, a nove anni dal primo tentativo, qualcosa era destinato a cambiare.
Ce l’avrebbe fatta, sì, ma ci sarebbero volute più di otto ore per superare tre avversari maldisposti a lasciargli il via libera. Al primo turno, contro il non irresistibile Joao Wiesinger, al primo torneo del 2014, Nicolas se l’era vista brutta, e non tanto per il parziale che ad un certo pugno segnava 7-6 2-0 per il suo avversario, quanto per lo svantaggio, quasi incolmabile, di 1-5 nella frazione decisiva, che una volta recuperato suggellava un vittoria al tie break con una striscia finale di sei punti consecutivi. Successivamente, al cospetto di Daniel Dutra da Silva, ci volevano 6 giochi di rodaggio, commutati in un 0-6, prima di prendere la misura del connazionale, ma il 6-1 6-3 con cui Nicolas si aggiudicava le altre frazioni non nascondeva eccessive insidie, che invece gli sono state riservate da Filipe Brandao, ultimo ostacolo prima dell’agognato main draw. Consapevole che già quattro volte in passato era stato bocciato al turno decisivo, Santos avrà cominciato ad imprecare contro un destino piuttosto amaro quando il suo avversario si era trovato a servire sul 7-5 5-3 in proprio favore. La rimonta, che ancora una volta avrebbe avuto esito positivo nonostante i match-point fronteggiati, si sarebbe conclusa più di un’ora dopo e avrebbe sancito un finale alquanto insperato.
E’ molto probabile che Nicolas, a questo punto, non ci sperasse più, ed il risultato inatteso, dopo i tanti schiaffoni subiti, fungeva da piccola ricompensa, anche se è preferibile vederlo come un ponte con il passato, un momento in cui il ragazzo di Sao Paulo è tornato a riassaporare quella medesima aria che respirava quando era giovincello e raggiungeva le finali in manifestazioni d’alto calibro come l’Eddie Herr o l’Orange Bowl. Non è facile adattarsi ad una realtà che da un giorno all’altro ti ridimensiona da leader a comprimario e, trovare comunque un modo, per quanto parziale e limitato, per tornare protagonista, è un importante riconoscimento da tributare all’uomo prima ancora che all’atleta.
Calarsi in un mondo in cui i propositi fanno apertamente a pugni con la vita mette a dura prova la propria umiltà. E’ infatti notizia dell’agosto scorso che Tiago Fernandes, classe 1993, ultimo giocatore brasiliano ad essersi insediato alla prima posizione del ranking juniores, complice il successo, nel 2010, all’Australian Open, ha deciso di dire basta. Attraverso un’intervista col sito Tenisnew, il 21enne di Maceiò – sì, è nato proprio lì – ha annunciato di non voler più proseguire con l’attività da professionista, essendosi nel frattempo iscritto alla facoltà di Ingegneria Civile alla Cesmac – polo universitario della sua città natale – preferendo quindi una vita più tradizionale, rispetto a quella dello sportivo giramondo. Una sconfitta a fine maggio, nel secondo turno di un future turco, perpetrata dal kazako Denis Yevseyev, match nel quale Tiago conduceva largamente nel terzo set, prima di venire sconfitto 6-4, è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso, quest’ultimo già riempito dalle troppe sconfitte che non facevano decollare una carriera dai più vaticinata come destinata su alti livelli.
Confidando di non toccare più una racchetta da oltre due mesi, Fernandes non si è tirato indietro quando gli è stato chiesto per qual motivo avesse preso una decisione così drastica “Le mie priorità, attualmente, mal si sposano con quella che dovrebbe essere la vita di un tennista. Tutto quello che finora mi è accaduto mi ha portato a definire tale decisione, non ultimi i numerosi problemi fisici che ho dovuto patire. Non nego che l’aver vinto uno Slam giovanile, l’essere stato il numero 1 al mondo tra gli under 18, mi abbia conferito una tale pressione che non sono stato capace di gestire. E’ stato bello, viverlo, assaporarlo, ma avevo solo 17 anni. Ora mi voglio dedicare completamente agli studi. Un domani chissà, mai dire mai”.
Entrambi i casi, quello di Santos e quello di Fernandes, per quanto così differenti – c’è chi, a prescindere, continua a lottare, e chi invece preferisce focalizzarsi su altri obiettivi – sono due emblematiche facce della medesima medaglia, quella che racconta e fa emergere la dura vita del tennis minore, inteso sia come giovanile, sia come giocato nei circuiti secondari. Storie che mal si coniugano con quelle che siamo abituati a scrutare sotto la luce dei riflettori, ma che non difettano di quel particolare che accomuna tutti i tennisti, da Djokovic e Serena Williams a scendere: il sacrificio. Per quanto i risultati possano essere differenti, quello permane la base per ogni soddisfazione futura.
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