di Alessandro Nizegorodcew e Matteo Torrioli (con la collaborazione di Federico Rossini)
INTERVISTA con Alessandro Donati, Aldo Agroppi, Maurizio Biscardi (moderano Alessandro Nizegorodcew e Matteo Torrioli)
Sandro Donati non parla mai a caso. Uno tra i massimi esperti di doping al mondo, consulente della Wada e maestro dello sport, è intervenuto ai microfoni di Alessandro Nizegorodcew e Matteo Torrioli durante la trasmissione Tribuna Stampa (in onda dal lunedì al venerdì dalle 18 alle 20 su Radio Manà Manà Sport) per presentare il libro “Lo Sport del Doping”. Il professor Donati ha parlato dei più vari argomenti, tra cui il tennis e il calcio, e ciò che ne è scaturito è davvero molto interessante.
Quale è stata l’idea di questo libro? Quando nasce?
Ne avevo già scritto uno nel 1989 che faceva già il punto della situazione. All’epoca lavoravo ancora nel CONI quindi dovevo sopportare persecuzioni non da poco. Negli anni successivi avevo perso la voglia di comunicare, mi sembrava tutto inutile, i media non sembravano avere intenzione di comunicare, non sembravano voler guardare in faccia la realtà. Spinto dal gruppo Abele, da Libera, da Don Ciotti, sono tornato a scriverne quest’estate. La cosa è nata in modo quasi casuale perché volevo conservare queste cose dentro di me.
La prima cosa che uno pensa leggendo il libro è “accidenti che coraggio!” In effetti ogni 5-6 righe ci sono 3-4 potenziali querele. Che lavoro di documentazione c’è stato per poter pubblicare il libro?
Intanto per le querele voglio vedere. Prima di tutto le minacce sono lo sport più praticato, prima di farla (la querela, ndr) ci si deve pensare 100 volte e chi mi conosce ci pensa 1000. Io ho cercato sempre di documentarmi, un po’ per la mia mentalità di allenatore. Mi rendevo conto che la battaglia era difficile e che quindi sarei stato facilmente vittima di un contrattacco o di una controrinuncia. Io non ho fatto altro che mettere in fila le cose, anche perché non dimentichiamo che dal 2000 in poi sono cominciate le attività giudiziarie della Magistratura, quindi ho potuto utilizzare molti materiali che andavano a riscontrare delle cose che io ero in grado di dire.
Ci può riassumere la situazione legata al calcio?
Si potrebbe descrivere in tre periodi.
1° periodo – fino al 1998-99, caratterizzato da una percentuale di casi positivi pressoché uguale a 0. Ricordo che nel ’93 presentai le statistiche del laboratorio di Roma, che erano le più basse al mondo, al Segretario Generale del CONI Raffaele Pagnozzi. Lui non era in grado di darmi le spiegazioni richieste, ma mi promise che avrebbe approfondito o cercato di capire. Non ho mai avuto risposte.
2° periodo – dopo la denuncia di Zeman. Guariniello mi convocò il giorno dopo aver ascoltato Zeman e mi chiese cosa pensassi sul doping del calcio. Io dissi “se lei mi consente, c’è una domanda preliminare: come si fa il doping nel calcio? Perché se lei manda i suoi ispettori al laboratorio di Roma non troverà che pochissimi risultati di analisi antidoping nel calcio”. Così accadde. Così cominciarono a dire che non conservavano i risultati perché voluminosi dal punto di vista cartaceo, che i dischetti sui quali si registravano si riscrivevano… una serie di arrampicate sugli specchi. Il laboratorio fu chiuso per sei mesi in seguito a questo scandalo, che portò alla caduta di Pescante. La fase successiva, in cui fu nominato un nuovo chimico, fu caratterizzato da 11 positività per nandrolone in rapidissima successione, dopodiché si ritornò al nulla di prima. Il sistema calcistico fece molte resistenze prima di squalificare i suoi atleti, e ci furono polemiche perché l’ottocentista Andrea Longo fu squalificato per due anni mentre i calciatori ebbero al massimo 2.3 mesi.
3° periodo – Dopo gli 11 casi, non è più un problema del laboratorio di Roma, che è ottimo, quanto di quali campioni arrivano al laboratorio. Ora, il problema è alla fonte delle scelte.
Intervento di Maurizio Biscardi: Il problema ora però non è solo di che cosa arriva, ma anche di che cosa si cerca. Nel tempo, si sono evolute le sostanze dopanti usate. Ricordo per lungo tempo le atlete cinesi del nuoto controllatissime, ma non veniva trovato nulla perché con i mezzi di allora nulla si poteva trovare. Prima di loro, la DDR, poi gli atleti americani trovati positivi a Seul con relativa strage. I laboratori si devono adeguare per la ricerca delle sostanze, che non sono sempre le stesse.
Donati: Quanto detto è giusto, ma va inquadrato storicamente, in maniera più chiara e rispondente ai diversi periodi.
Il problema è che il CIO e la sua commissione medica prima, e anche la WADA adesso, sono in gravissimo ritardo per mettere a punto i sistemi di analisi per le nuove sostanze. Ad esempio: 50 anni per rintracciare gli stimolanti, più di 25 per gli anabolizzanti, un lungo tempo per l’EPO, ancora nessun metodo per l’ormone della crescita.
Biscardi: Adesso si parla anche di un altro tipo di doping. Si è vociferato del caso Nadal, con una sostanza che fa ricrescere più rapidamente dagli infortuni. Questa, usata localmente, non è doping, ma su tutto il corpo è doping.
Donati: Sono i fattori di crescita, che se usati in via locale o sistemica, possono produrre fortissime risposte dell’organismo e quindi una forma di doping. Qui si è in ritardo, ed è una categoria in cui c’è un vuoto di capacità di analizzare.
Agroppi: A fine anni ’60-inizio ’70, quando giocavo, nelle società di calcio si faceva uso di tre medicinali, Liporen, Cortiplex e Surrenovis che allora non erano doping. Oggi lo sarebbero?
Donati: Il Liporen non è ancora doping, ma è un attivatore della funzione cardiaca. Gli altri due stimolano la corteccia surrenale, hanno un loro effetto in quanto sul momento mettono il soggetto in condizione di dare di più.
Un riassunto su chi era Conconi e sulla vicenda Di Centa?
Conconi era un personaggio molto particolare. Amava lo sport e l’avere a che fare con gli atleti, e amava mettersi in luce attraverso questa strada. Ha cominciato a seguire i mezzofondisti di Ferrara, ad applicare l’emodoping, che lui chiamava autoemotrasfusione (quella che ha (mal) praticato Riccardo Riccò, per rimanere in tempi recenti, ndr), con gli atleti della zona. Poi lo hanno fatto conoscere alla FIDAL e ha cominciato a trattare molti mezzofondisti, allargandosi poi a diversi sport con l’appoggio del CONI, che ha iniziato a finanziarlo per le pratiche dopanti, e io avevo già scritto di questa situazione nel libro del 1989. Dopo di ciò, si è sviluppata sempre di più la collaborazione, ed è diventata sempre più ambigua, perché aveva collaborato con la commissione medica del CIO. Quindi era lui stesso il somministratore del doping ed il controllore. Ho ricostruito tutto questo attraverso il carteggio tra lui e il CONI, tra lui e il CIO, il che rivela un rapporto di un’ambiguità incredibile. Da Conconi andavano parecchi atleti italiani e stranieri, dobbiamo tenerlo presente. Il doping è una sorta di villaggio globale, e gli atleti corrono da questi “santuari”. Una volta Conconi, una volta Michele Ferrari, una volta Eufemiano Fuentes, una volta il Laboratorio BALCO…
Agroppi: Hai già scelto l’avvocato? (ride)
Donati: Intanto vediamo se ce ne sarà bisogno. Dovranno contare parecchi numeri prima di farlo, e potrebbe essere un’occasione per approfondire ulteriormente. Nel ’96 uscì il mio report sull’abuso di EPO, ricevetti 40 minacce di querela, ma nessuna inoltrata. Magari era un disguido delle Poste… Quel che considero vigliacco è il caso in cui le istituzioni dovessero denunciarmi, non pagando avvocati di tasca loro. Ho avuto 10 di queste cause, e le hanno tutte perse.
Agroppi: Io ricordo che ai tempi l’antidoping era preso a ridere da tutti i giocatori, e alcuni avevano perfino difficoltà a urinare. Mancavano regole rigide. Per riempire il vasetto che ci davano, lo riempivano con l’acqua, o lo scambiavano con quello di un calciatore non sorteggiato
Biscardi: Nel periodo ’92-’94, Conconi seguiva diverse federazioni, ma non era il medico dei singoli atleti, quindi non c’era una visione dell’atleta che voleva superare il rivale, ma una visione più generale di portare avanti dei metodi con una squadra. Non era un caso limitato, per dire, alla sola Di Centa, ma anche a molti altri campioni di altri sport. Molte di queste “cure”, impropriamente così definibili, portavano un tipo di vita disagiato, facevano male alla socialità stessa degli atleti. Tutto il contrario di ciò che dovrebbe essere lo sport.
Donati: Conconi ha mandato in ospedale parecchi sciatori di fondo con l’emodoping poiché usava delle tecniche di conservazione del sangue poco chiare. In un caso, a prendere l’epatite virale furono uno di loro e la moglie perché gliela trasmise lui stesso. Questo dimostra la maniera avventuristica o aggressiva o incosciente con cui ha affrontato le cose. Poi è passato all’EPO, e il periodo ’92-94 è quello, come sancito da una sentenza del Tribunale di Ferrara, che ha indicato 33 atleti per i quali era indubitabile l’utilizzo di EPO considerata la variazione anomala dei dati ematici o la scritta “trattato/non trattato” sui file di Conconi sequestrati dalla magistratura.
Agroppi: E’ giusto che un atleta trovato dopato possa tornare a gareggiare?
Donati: Se si tratta di uno sport individuale, non si ha nessunissima possibilità di tornare a gareggiare ai livelli di quando si è assunto il doping. Diverso è il discorso degli sport tecnici: il doping non ha un peso assoluto, contano anche altre doti, che svolgono l’altra parte del lavoro. In questo caso un atleta può tornare abbastanza competitivo. Io farei tornare gli atleti a gareggiare, ma sottoponendoli a controlli così assidui da farli abbandonare. Nel tennis, il numero dei controlli a sorpresa è nullo, i controlli del sangue sono minimi, le palline vanno sempre più veloci, i giocatori sono sempre più potenti. La conclusione è che questi grossi personaggi sportivi sono coperti per finalità commerciali, così come lo è stato Lance Armstrong, che era la gallina dalle uova d’oro finché non si è scoperchiato tutto il sistema-doping che gli girava attorno, peraltro già denunciato in precedenza, e che gli farà certamente perdere una montagna di soldi da sponsor e compagnie assicurative.
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