di Andrea Villa
È sempre piacevole parlare di tennis con i giovani tennisti. Quando lo faccio mi accorgo che hanno molte cose da dire, per questo ascoltarli offre ogni volta qualche spunto interessante. Lorenzo Frigerio è un ragazzo candidamente sincero, di cristallina trasparenza. Ha una storia sportiva particolare, segnata da un percorso tortuoso, a cui sta cercando di dare una definitiva direzione. Curioso di conoscere i dettagli, l’ho convinto a farsi intervistare.
Raccontami come hai iniziato a giocare a tennis?
Ho preso in mano la racchetta per la prima volta a cinque anni al Tc Lecco, dove sono nato. Il mio primo insegnante è stato Enrico Rigamonti, maestro a cui sono molto riconoscente. Poi sono stato seguito anche da Tommaso Castelli.
E’ vero che tuo papà voleva che giocassi a calcio, a differenza di tua mamma?
I miei genitori avevano due differenti volontà, così per un certo periodo ho portato avanti entrambi gli sport, fino a tredici anni, quando ho scelto definitivamente il tennis. Ho un fratello che gioca in C1 nel Foggia, magari se avessi continuato avrei anche io raggiunto quel livello. Ora mia mamma visto quanto guadagno, ha cambiato decisamente idea!
Come sono stati i tuoi anni da under, ti consideravi una promessa?
A dodici anni ero tenuto in considerazione da parte della Federazione, che mi convocava sempre per i raduni. Poi come mi è spesso accaduto sono calato di rendimento, anche perché ho avuto un brutto infortunio ad un piede che mi ha costretto a non giocare per quasi dodici mesi. I progressi successivi gli ho fatti con Lea Ghirardi, una ex professionista francese, che è stata nelle prime 100 giocatrici al mondo; naturalmente mi allenavo sempre al Tc Lecco. È quando sono diventato 2.5 che mi sono di nuovo fermato.
Come mai ti sei arenato dopo aver raggiunto una buona classifica?
Gli scarsi risultati mi hanno convinto a smettere, a non credere di poter migliorare ancora. Inoltre dovevo finire le scuole superiori, traguardo importante anche per la mia famiglia, e di conseguenza sentivo di non avere più obiettivi, anche se non avevo ancora provato ad prepararmi con autentica serietà.
Cosa ti ha spinto a riprendere?
È stato il mio preparatore atletico Adamo Panzeri, che nel frattempo era diventato maestro, a riportarmi sul campo, chiedendomi se volevo fare da sparring ad alcuni ragazzi promettenti. In più una mattina alla settimana sperimentavo con lui alcuni aspetti di preparazione mentale, che stava studiando per conto proprio per aumentare le sue competenze. Con rinnovato spirito, mi sono buttato in qualche torneo, e fine anno sono salito fino a 2.3, con mia grande sorpresa.
Attualmente ti alleni al Tc Ambrosiano con il Maestro Fabio Menati, che scelta è stata?
Direi ottima. Ho giocato a Cesena contro Giacomo Oradini in un Future, e mi ha chiesto se fossi interessato a trasferirmi. Prima di decidere ho chiesto consiglio ai miei vecchi maestri del Tc Lecco, che mi hanno spinto senza indugi verso un’attività da vero giocatore.
Non pensi che a 23 anni sia tardi per migliorare e buttarsi tra i professionisti?
Potrebbe sembrare, ma è una sfida che voglio vincere. Purtroppo sento di essere molto inesperto, di avere alle spalle poco tennis di un certo livello, anche se nel 2011 ho raccolto quattro punti Atp, diventando il primo giocatore della provincia di Lecco a riuscire nell’impresa. So che avrei potuto tranquillamente vivacchiare tra Open e gara a squadre, ma sono determinato ad ottenere di più, per questo non voglio cedere alle solite tentazioni!
Anche se ti alleni ogni giorno a Milano, vivi ancora dove sei nato, è un vantaggio?
Lo è se non si cede alle tentazioni della vita comoda, delle cose pronte, delle amicizie che desideri mantenere nonostante le tante ore passate sul campo. A casa si sta benissimo, quando vado all’estero è immediato accorgersi di quanto gli italiani siano legati al luogo d’origine.
Non è così anche per gli stranieri?
Da quello che ho visto girando per il circuito Future, gli stranieri sembrano adattarsi meglio a condizioni meno agevoli, forse sono più abituati, o semplicemente hanno motivazioni superiori. Tuttavia credo che dipenda molto dal vissuto personale, forse l’errore che si commette da noi è quello di non buttarsi nella mischia molto giovani, insomma talvolta si aspetta troppo.
Quanto è onerosa l’attività?
Moltissimo. È un tasto veramente dolente, soprattutto per la mia famiglia. Visto quello che guadagno anche mia mamma ha cambiato idea sul tennis. Il lato economico ha un peso enorme, anche dal punto di vista psicologico. Purtroppo non sono in grado di mantenermi, e quindi sento sempre la pressione del debito nei confronti dei genitori, unica vera risorsa per chi tenta la via al professionismo. Spero che le incertezze del passato non facciano calare le odierne motivazioni, vorrei veramente fare qualcosa di eccellente, e ripagare mamma e papà di tanti sforzi.
Invece quanto influisce la figura del coach sulla tua attività?
Ho bisogno di affidarmi totalmente ad una persona, è sempre stato così. La fiducia reciproca è per me l’aspetto più importante. Per fortuna Fabio Menati mi segue molto da vicino, anche nei tornei non troppo distanti da Milano. Se avessi la possibilità di pagare un coach personale forse tutto sarebbe diverso, avrei un feedback di ogni match diretto, in modo da lavorare ancora di più e meglio, ma chi può permettersi un allenatore a tempo pieno!
C’è una cosa che cambieresti se potessi tornare indietro?
Darei retta a mio padre e giocherei a calcio, magari per sentirmi dire da mia madre un giorno che ho sbagliato scelta!
La chiacchierata è stata lunga e piena di considerazioni intriganti. Lorenzo è cosciente di avere tra le mani un’occasione, di poter dimostrare a sé stesso e agli altri che non è troppo tardi. Ha il vantaggio di essere fresco, di non avere la testa e il fisico consumati da stagioni logoranti, tuttavia teme di fermarsi all’improvviso, come gli è capitato altre volte in carriera. Quattro punti Atp sono un soffio, ma anche un traguardo che pochissimi raggiungono, nell’oceano del tennis, fatto di mille livelli e altrettanti sogni. In fondo è sempre di questo che si tratta, avvicinarsi il più possibile ai propri sogni, per toccare con mano quanto siano preziosi.
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