di Sergio Pastena
La Davis Cup è strana, come d’altronde è normale per una competizione a squadre calata in uno sport individuale: può portare a sorprese inimmaginabili perché, in fondo, bastano due giocatori per essere competitivi (Zimbabwe dei fratelli Black docet). Se però vuoi dominare con costanza l’affare è differente: devi avere un movimento solido e una squadra senza punti deboli (o quasi), in modo da poter gestire eventuali assenze senza partire sconfitto.
La Svizzera, ad esempio, non è mai esplosa perché se manca uno tra Federer e Wawrinka, a certi livelli, gli elvetici partono praticamente da 0-2: basti pensare che Chiudinelli ha vinto un solo match al meglio dei cinque (contro Verdasco). Oppure prendiamo la Gran Bretagna: alle spalle di Murray c’è il vuoto pneumatico e, anche in sua presenza, basta una squadra ben organizzata come la Polonia (anche se priva di Kubot come nel 2009) a confezionare l’impresa.
Insomma, identificare la forza della Spagna solo con l’effetto Nadal (che c’è, eccome: uno score di 20-1 pesa tanto) sarebbe riduttivo: nel 2008 Ferrer, Verdasco e Lopez andarono a prendersi l’insalatiera in Argentina e, in tempi recenti, le “seconde linee” si son sempre disimpegnate bene salvo che in occasione della “mazziata” presa dalla Francia nel 2010. Quest’anno, tanto per dire, la Spagna ha vinto negli Stati Uniti senza Nadal e, nel 2009, i cosiddetti “comprimari” han regolato la Germania.
Ma fino a quando durerà? Sicuramente l’anno prossimo la Spagna sarà tra le squadre favorite. Sicuramente lo sarà anche l’anno dopo. L’Armada di oggi, però, a ben guardare sembra tutto tranne che un prodotto “a lunga conservazione”, per tre motivi:
- 1) La mancanza di un doppio: si può dire che l’unica edizione nella quale il doppio abbia dato un contributo valido sia stata quella del 2009, quando Lopez e Verdasco le vinsero tutte dai quarti di finale in poi, arrivando a conquistare il punto della Davis contro Berdych e Stepanek. Fu anche, guarda caso, l’anno nel quale i due ottennero il migliore risultato come team (i quarti all’Australian Open). Per il resto, però, poca roba salvo la sporadica vittoria di Stoccolma nel 2004. Verdasco e Lopez hanno tutto per essere una gran coppia, ma sono dei singolaristi: gli unici punti persi dalla Spagna dai quarti in poi, quest’anno, sono stati proprio quelli del doppio. Ricambi non se ne vedono, l’unica coppia potenzialmente “rodata” è Nadal-Marc Lopez, ma chiedere al maiorchino di giocare anche il doppio pare francamente troppo. E l’anno prossimo Feliciano Lopez ha annunciato che non ci sarà: considerando che è il miglior volleatore spagnolo, non c’è da avere tanta fiducia.
- 2) Mancano le terze linee: già, perché le “seconde linee” attuali hanno una certa età. Verdasco 28 anni, Ferrer 29 e Feliciano Lopez 30. Lopez e Verdasco, peraltro, non è che in singolare abbiano dei bilanci mostruosi. Ferrer sì (un 22/5 che non lascia spazio a repliche) ma il trottolino di Javea non è eterno e, considerando il suo tennis, sperare che continui a correre così anche dopo i trenta è come puntare a caso in una corsa dei cavalli. Alle spalle dei membri storici dell’Armada troviamo i vari Garcia-Lopez, Andujar e compagnia bella, insomma manca un secondo singolarista “di sostanza”, di quelli capaci dell’impresa come Ferrer. Il buon David, infatti, in Davis ha fatto secchi Djokovic e Roddick (due volte), oltre a battere sistematicamente outsider come Kohlschreiber, Stepanek e Wawrinka. Ce lo vedreste Granollers a fare cose del genere?
- 3) L’effetto Nadal non è eterno: non ce ne vogliano i tifosi del maiorchino, ma non andrà avanti sempre così. Chiariamoci: Nadal farà ancora tantissimi punti per la Spagna di Davis, il suo contributo rimarrà fondamentale e il suo score nettamente in attivo. Quello che non farà, però, è piazzare un altro parziale di 20-0: l’unica sconfitta, infatti, Nadal l’ha subita all’esordio contro Jiri Novak. Ora, però, c’è in giro un altro Novak, di nome e non di cognome, che se lo incrociasse in Davis partirebbe favorito in casa e se la giocherebbe alla pari in trasferta. Inoltre lo spagnolo va per i ventisei, è a metà carriera (forse anche di più) e il suo gioco è enormemente dispendioso. Insomma, sarà difficile che resti con uno score “immacolato” e in Davis un punto perso può pesare tantissimo. Considerando che al momento la Spagna non sembra avere una “next big thing”, visto che i giovani migliori non paiono futuri “numeri uno” e, a livello Itf, il ranking juniores iberico non è eccelso (vedere per credere), anche il ruolo di “primo singolarista” sembra destinato a portare qualche punto in meno.
Insomma, per ora la squadra spagnola resta un gigante, ma quei dannati piedi d’argilla potrebbero portare ben presto alla chiusura di un ciclo.
Consumare in fretta: scade nel 2013.
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